Ròch dij Gieugh: Roccia dei Giochi, Roccia di Giove?

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Su un antico sentiero, in un fitto bosco di larici, di fronte al Rocciamelone e alla Lera, un grande masso è ricoperto da un denso intreccio di incisioni a canaletti, a coppelle, a impronte di piedi; ai margini, tre figure di guerrieri con elmo e spada dell’età del Ferro; poco oltre un’iscrizione in latino di dedica a Giove e ancora, più recenti, alcune croci e sigle e nomi forse di pastori degli ultimi secoli.

Chiamato Ròch dij Gieugh (o dij Gieu), letteralmente “roccia dei giochi” perché si voleva vedere nelle incisioni una grande serie ludica, forse il nome in origine significava “roccia di Giove”. La scoperta dell’iscrizione in latino IOVI ci mostra quindi un masso che per oltre 2500 anni è stato oggetto di attenzioni da parte dei montanari, fino a quando se ne è perso il più antico valore, trasformato in senso più quotidiano.

Non conosciamo con precisione il significato delle incisioni, ma il confronto con gli altri contesti archeologici alpini permette di comprendere che erano legate a culti che, tra l’età del Ferro e l’età romana, si dislocavano lungo sentieri montani, in luoghi dai quali si dominava il paesaggio circostante.

Le figure antropomorfe con ampio copricapo trovano confronto nei guerrieri, con identici cappelli o elmi, rappresentati in sculture del Sud della Francia tra il 650 e il 500 a.C.

Più o meno nello stesso periodo furono incise numerose impronte di piede – come nella famosa e spettacolare Rocher aux Pieds di Pisselerand della vicina Moriana e in Valcamonica – probabilmente legate ai riti di passaggio all’età adulta. Non molto tempo dopo fu incisa una profonda rete di coppelle e canaletti, verosimilmente destinata a ricevere offerte votive, forse bevande.

Ma la sacralità del Ròch era avvertita ancora in età romana, quando fu dedicato a Giove, e ancora dopo quando per cristianizzarlo si incisero delle croci.

Tutto il territorio di Usseglio e della Valle di Viù è ricco di testimonianze del rapporto tra uomini e dèi nel corso dei millenni. Dai pugnali in bronzo di 2500 anni fa ritrovati sul sentiero tra Malciaussia e il Colle dell’Autaret, all’ara romana dal ghiacciaio di Bellacomba (l’iscrizione romana rinvenuta a più alta quota al mondo, a circa 2800 m s.l.m.!) a quella alle Piazzette, la valle intera rappresenta un grande comprensorio sacro nell’antichità attorno al Rocciamelone, sulle cui pendici valsusine si sviluppa un altro ricco complesso di incisioni rupestri.

L’archeologia trova inoltre le conferme di antiche leggende medievali che, nell’anno Mille, ponevano sul Rocciamelone grotte ricche di tesori inviolabili, e di altre più recenti che collocavano nei ghiacciai che sovrastano Usseglio le anime del purgatorio, magre e scure, condannate a scavare il ghiaccio con dei lunghi aghi, in cui si coglie forse il rinvenimento di cadaveri mummificati, con lunghi spilloni dell’età del Bronzo, simili a Oetzi, l’uomo del Similaun, rinvenuto al confine tra Italia e Austria.

Tra il 2015 e il 2016 il Museo Civico “Arnaldo Tazzetti” ha condotto un progetto di studio e valorizzazione, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Torino, il Museo Nazionale Preistorico Etnografico “Luigi Pigorini” di Roma e le Università di Padova, di Genova, di Pisa e Cattolica di Milano. Il progetto di documentazione è stato realizzato dalla Cooperativa Archeologica Le Orme dell’Uomo, specializzata nell’arte rupestre alpina.

Grazie al recupero dell’antico tracciato, dall’estate 2016 il sito è raggiungibile partendo dalla strada provinciale in frazione Andriera tramite comodo sentiero dotato di pannelli illustrativi.

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